Oggi, 16 novembre, è la Giornata Mondiale della Tolleranza.
Il termine “tolleranza” viene dal latino "tolerantia", derivato di “tolerare” (“sopportare, tollerare”).
Non ho mai amato il termine “tolleranza” in quanto troppo spesso viene confuso con il concetto di “sopportazione” che, inevitabilmente, ci rende vittime incomprese di un destino spesso crudele e ineluttabile.
Preferisco di gran lunga assimilare la tolleranza a un’idea di rispetto e di accoglienza, con riferimento ai gusti, alle idee e alle diversità di ognuno. “Sopportare” ci rende “povere vittime indifese” di qualcuno o di qualcosa. Ci appesantisce la vita. Spesso, a furia di “sopportare”, “tollerare” e cercare di comprendere e assecondare le ragioni di tutti, ci dimentichiamo di noi stessi. E questo, alla lunga, ci fa ammalare.

Diverso è appunto il concetto di “rispetto”. Rispetto verso noi stessi e verso gli altri. Per chi la pensa come noi e per chi la pensa in modo diverso. Sogno un mondo in cui non si cerchi più di primeggiare ad ogni costo, di farsi valere soverchiando gli altri. Un mondo in cui le Anime affini possano riconoscersi e ritrovarsi, nel pieno rispetto di chi affine non è ma merita comunque di essere accettato, accolto e considerato. In comunione con i nostri fratelli animali che ci accompagnano, ci sostengono e ci aiutano in questo nostro cammino terreno.

Credo che un mondo così debba partire in primo luogo da noi, ricercatori spirituali e terapeuti olistici. Noi, che crediamo che un mondo così sia possibile. Noi, che apriamo il nostro cuore per aiutare gli altri. Noi, che ci emozioniamo di fronte ad un tramonto o al sorriso di un bambino. Noi, che ci perdiamo nello sguardo profondo di un gatto. Noi che ci crediamo. Fino in fondo.